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Il valore legale di Whatsapp nei processi

Il valore legale di Whatsapp nei processi

WhatsApp può diventare una prova in sede di processo civile e/o penale. Scopri come

21/02/2024

Nel tessuto sempre più intricato della nostra quotidianità, WhatsApp emerge come un attore sempre più prominente. Sebbene abbia semplificato la nostra interazione sociale e si sia reso accessibile grazie alla sua gratuità, non possiamo ignorare il lato oscuro che potrebbe nascondere. È possibile che diventi un mezzo per situazioni spiacevoli, specialmente quando viene utilizzato per minacce o per condurre azioni di stalking. In caso di necessità di denuncia, sia per liberarsi da uno stalker o per perseguire un risarcimento, sorge spontanea la domanda se i messaggi inviati tramite WhatsApp possano costituire prove legali valide. La loro validità dipende dalla loro autenticità, ossia se sono stati realmente inviati da un'altra persona e ricevuti. Ma come vengono presentati questi messaggi in tribunale? È necessario stampare il testo della conversazione o sono sufficienti gli screenshot? In questo excursus, approfondiremo dettagliatamente questo argomento, esplorando le varie pronunce della giurisprudenza negli ultimi anni e cercando di gettare luce su questo intricato aspetto della legge digitale.

Screenshot di Whatsapp: ha valore legale?

Immagina il tuo smartphone come una macchina fotografica digitale, pronta a catturare istanti digitali nel suo obiettivo virtuale. Lo screenshot è il suo scatto, un'istantanea della vita digitale che si svolge sullo schermo, catturando le conversazioni animate di WhatsApp. Ma come si compie questa magia? Ogni telefono ha il suo incantesimo: una combinazione di tasti segreta che, premuta, fa sì che l'immagine si materializzi nella memoria del dispositivo. In tribunale, questa fotografia digitale può prendere forma, stampata su carta o conservata come un prezioso gioiello in una chiave USB. Tuttavia, la legge italiana imposta una limitazione al potere magico dello screenshot. Considera la sua copia come una semplice replicazione meccanica, come se fosse una fotocopia di un documento. Ecco perché, sebbene abbia un valore legale, la sua validità può essere contestata.

Chiunque cerchi di vincere la causa a tutti i costi, anche se non ha dalla sua parte la giustizia, cercherà di sfruttare questa debolezza a suo vantaggio. Ma se la controparte non alza obiezioni o se riconosce la veridicità dello screenshot, allora il giudice può accettarlo come una prova autentica. La Cassazione ha chiarito che la semplice contestazione non basta a mettere in dubbio il valore legale dello screenshot. La parte che solleva dubbi deve fornire una spiegazione convincente per il suo scetticismo sull'autenticità dell'immagine digitale presentata.

Il valore della chat di Whatsapp nei processi

I messaggi scambiati su Whatsapp costituiscono una forma di prova legale e possono essere presentati come tale in un processo giudiziario. In base alla sentenza n. 39539/2022 emessa dalla Corte di Cassazione, i messaggi inviati tramite Whatsapp possono essere considerati equivalenti a documenti legali ai sensi dell'articolo 234 del Codice di Procedura Civile, seguendo così l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità. Questa decisione è stata presa in relazione a un caso in cui un imputato era stato condannato in primo e secondo grado per aver utilizzato illegalmente strumenti di pagamento, come stabilito dall'articolo 493 ter del Codice di Procedura Penale.

Nel contesto dell'impugnazione della sentenza presso la Corte di Cassazione, l'imputato ha avanzato quattro punti di contestazione, tra cui l'omessa applicazione dell'articolo 131 bis del Codice Penale, la questione della validità di una comunicazione non precedentemente acquisita agli atti, e l'inutilizzabilità delle presunzioni riguardanti l'uso non autorizzato di un bancomat dedotte dal giudice precedente. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha concentrato la sua attenzione sull'argomento dei messaggi Whatsapp, rigettando le obiezioni dell'imputato.

La Corte ha sostenuto che i messaggi scambiati su Whatsapp, utilizzati come testimonianza dalla parte offesa, hanno valore documentale ai sensi dell'articolo 234 del codice di procedura penale. Pertanto, è legittima la loro acquisizione mediante una semplice riproduzione fotografica, senza necessità di seguire le procedure di intercettazione delle comunicazioni o di acquisizione della corrispondenza previste dalla legge. La validità di tali messaggi come prova è confermata dalla qualifica soggettiva della persona che li ha riprodotti, senza necessità di sequestrare il dispositivo originale.

Come portare WhatsApp in tribunale

Secondo l'articolo 234 del Codice di Procedura Penale, si può proporre in tribunale non solo documentazione come fotografie, filmati o registrazioni audio che catturano eventi e persone, ma anche i contenuti di WhatsApp, che comprendano immagini, messaggi o registrazioni vocali, possono essere considerati una prova tangibile in quanto testimoniano fatti storici. Nel contesto giudiziario, il dispositivo telematico, come il telefono cellulare con i messaggi di WhatsApp, può essere presentato in varie forme: Il primo approccio, il più diretto, consiste nella consegna fisica dello smartphone dove si è svolta la conversazione. Questo supporto materiale costituisce una prova irrefutabile che può garantire l'autenticità assoluta della chat.

Una prospettiva alternativa nell'ambito giudiziario consiste nell'utilizzare una testimonianza diretta della conversazione di WhatsApp, che coinvolge un individuo che ha esaminato il contenuto delle chat e è disposto a deporre sotto giuramento per rivelare quanto discusso nel corso della conversazione. Chiunque sia chiamato a testimoniare in tribunale deve essere stato presente durante la conversazione e, se racconta menzogne, è passibile di sanzioni penali. La testimonianza non è accettabile se la terza parte ha appreso il contenuto della chat solo attraverso indiscrezioni, ovvero se uno dei partecipanti gliene ha parlato in modo indiretto.

Stalking e molestie su Whatsapp: cosa dice la legge

Nei casi di molestie e atti persecutori, si comprende ogni comportamento che rappresenti un'intrusione non autorizzata, sia diretta che indiretta, nella sfera privata e nelle relazioni della vittima, creando un ambiente intimidatorio e ostile che comprometta la sua tranquillità e libertà mentale. Questo concetto è stato confermato nella sentenza del 28 luglio 2023, numero 32946, della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Nella vicenda in esame, un uomo è stato giudicato colpevole di stalking per aver inviato, a più persone, un messaggio WhatsApp contenente materiale sessuale riguardante la vittima. In sede di ricorso in Cassazione, l'imputato ha contestato la qualificazione della sua condotta come "molestia" ai sensi dell'articolo 660 del codice penale, sostenendo che non si può estendere il concetto di mezzi telefonici ai mezzi telematici e che un singolo invio di messaggi non può costituire un reato.

La Corte ha ribadito che l'aspetto materiale della "molestia" consiste in un'interferenza indesiderata che altera deliberatamente o fastidiosamente lo stato mentale di una persona e che, per essere considerata tale, l'azione deve non solo essere non gradita al destinatario, ma anche motivata da un intento biasimevole o petulante, che si manifesta in un comportamento invadente e insistente nella sfera privata altrui. La molestia può manifestarsi anche in un singolo atto, purché sia indicativo delle motivazioni specifiche che lo hanno provocato; anche un unico gesto, come una chiamata telefonica indiscreta, può costituire molestia, rientrando quindi nei casi di atti persecutori.

Qualsiasi mezzo di comunicazione tramite rete telefonica o cellulare, che impone voci o suoni al destinatario senza possibilità di evitare l'interazione con il mittente, deve essere considerato equivalente al telefono. Quello che conta è il grado di invasività del mezzo utilizzato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest'ultimo di bloccare l'azione perturbatrice. Di conseguenza, l'invio di messaggi telematici, inclusi SMS e WhatsApp, costituisce molestia, come confermato anche dalla Corte di Cassazione. I giudici di primo grado hanno applicato correttamente questi principi nel caso in questione, ritenendo che le azioni dell'imputato, eseguite tramite l'invio di foto e video a sfondo sessuale a più destinatari tramite WhatsApp, costituissero un'indebita intromissione nella sfera di libertà individuale della vittima e una grave violazione della sua privacy.

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