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Avvocato e Whatsapp: cosa c’è da sapere

L’avvocato può informare con WhatsApp e sms

Il CNF ha deciso che l'avvocato può informare il proprio assistito tramite WhatsApp o sms

06/05/2023

È possibile che un avvocato utilizzi Whatsapp (messaggistica istantanea) per comunicare con il proprio cliente in modo formale? E se lo fa, questa forma di comunicazione deve essere considerata come una consulenza a pagamento? In passato, per fare una chiamata telefonica si doveva comporre il numero a cifra per cifra, girando la rotella del telefono a disco.

Oggi invece basta un semplice comando vocale sullo smartphone per effettuare la chiamata, grazie alla tecnologia dei telefoni cellulari. Allo stesso modo, in passato si scriveva una lettera a mano, la si inseriva in una busta e la si portava all'ufficio postale per farla recapitare al destinatario. Ora, invece, abbiamo la possibilità di inviare un'e-mail, che arriva immediatamente al destinatario senza bisogno di muoversi da casa propria. La tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui ci comunichiamo, sia nella vita privata sia nel lavoro. Anche la  messaggistica istantanea come WhatsApp è diventata molto diffusa e può essere un'opzione conveniente e veloce per le comunicazioni tra un avvocato e il proprio cliente. Ma è lecito che gli avvocati utilizzino questa forma di comunicazione? E se si tratta di consulenze vere e proprie, è necessario pagare come se si stesse prendendo un appuntamento in studio legale?

Cosa dice la legge

In base alla recente pronuncia del Consiglio Nazionale Forense, un avvocato è autorizzato a utilizzare WhatsApp per comunicare con il suo cliente. L'uso della messaggistica rappresenta un mezzo di comunicazione immediato e rapido che non viola i doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza previsti dall'articolo 9 del Codice Deontologico Forense. Inoltre, la messaggistica costituisce un metodo che ha valore legale e fornisce una valida prova nel processo.

Il CNF afferma inoltre che gli attuali orientamenti giurisprudenziali hanno stabilito che il messaggio è considerato una valida prova nei rapporti contrattuali tra le parti. A tutti gli effetti, si tratta di un documento informatico che consente di conoscere la volontà delle stesse. Il CNF si è riferito alla sentenza della Corte di Cassazione per confermare il valore probatorio dei messaggi WhatsApp e supportare la sua decisione.

Consulenza legale su Whatsapp

Molte persone si rivolgono agli avvocati tramite WhatsApp per chiedere consigli su questioni legali, anche se solo occasionalmente. Tuttavia, ciò ha sollevato la questione se il cliente debba pagare per la consulenza richiesta attraverso questo sistema di comunicazione. In realtà, la legge non prevede un conferimento formale di un mandato per incaricare un avvocato. Un semplice messaggio di posta elettronica o WhatsApp può essere sufficiente per indicare la volontà di affidare un compito all'avvocato.

Pertanto la consulenza richiesta tramite messaggio deve essere considerata una prestazione professionale e l'avvocato ha diritto ad essere pagato. Questo è stato confermato dalla giurisprudenza, che ha stabilito che i messaggi su WhatsApp possono essere considerati prove nei rapporti contrattuali tra le parti. Se il cliente rifiuta di pagare per la consulenza, l'avvocato può agire legalmente, chiedendo un decreto ingiuntivo per costringere il beneficiario della consulenza a pagare.

Il valore di Whatsapp e la sentenza della Cassazione

Tutto era nato dalla denuncia di una signora che si era vista recapitare una parcella tramite SMS ed era riuscita a far concludere la vicenda con l'irrogazione della sanzione della censura a causa della violazione delle seguenti norme disciplinari: art. 9, in relazione all'art. 35 co.11 del codice disciplinare. Ossia per avere violato i doveri di esercitare l'attività professionale con dignità, probità e decoro da rispettare anche nelle forme e modalità delle informazioni.

L'avvocato in seguito aveva deciso di impugnare soccombente la decisione per i seguenti motivi: "l'uso degli sms rappresenta una consuetudine quale sistema corrente e veloce di comunicazione e di conseguenza non può rappresentare una violazione delle norme deontologiche". In ogni caso gli sms inviati erano pochi e sono cessati non appena l'avvocato è stato messo al corrente della nomina del difensore di fiducia.

Inoltre l’avvocato, prima di inviare la richiesta di pagamento tramite sms, si era rivolto al COA per avere un parere di congruità, in virtù del quale ha ridotto la somma iniziale di 405,00 euro in quella inferiore di 250,00. Compenso calcolato tra l'altro nel rispetto dei parametri minimi di cui alle tabelle del DM n. 55/2014. Il Consiglio Nazionale Forense aveva accolto il ricorso dell'Avvocato e annullato il provvedimento: l'uso della messaggistica, che consente una comunicazione più immediata e veloce, non possa ritenersi in sé in violazione dell'art. 9 del NCDF poiché, per molti aspetti, ormai rappresenta un vero e proprio metodo di comunicazione avente anche valore legale e, che per di più, fornisce anche una valida prova nel processo. Il contenuto inoltre è un semplice scambio di contenuti informativi di carattere numerico e non può costituire in alcun modo molestia”.

(fonte immagine: Yandex.com)

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